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Il dovere di informarsi e il diritto di conoscere.

 




Il rapporto di scambio delle informazioni tra cittadino e pubblica amministrazione.


Oggi le chiamiamo fake news, un tempo era semplicemente la “Propaganda”, e chi veicola le informazioni, altra cosa sono le notizie, spesso confonde le acque e le colora a suo piacimento.
Le informazioni sono un diritto e dovere del cittadino e della PA, diritto di conoscere e dovere di divulgare, ma non meno anche il dovere degli interessati di informarsi. Per far sì che ognuno informi e senza colorare le informazioni attraverso giudizi, opinioni e considerazioni, beh queste devono essere in bianco e nero, nude e crude.
Una informazione va recepita come un documento che stabilisce un dato di fatto, dal quale poi successivamente ognuno è libero di colorarlo a suo piacimento, ma la cosa più importante è che prima si legga la informazione di base, questa è la buona pratica di informare ed informarsi, mentre oggi ormai come un treno in corsa si parte dalla fine e solo se poi si è pignoli o non si è convinti si va alla ricerca dell’attendibilità e della verifica ufficiale di una informazione, e per questo semplice motivo che le fake news sono diventate all’ordine del giorno.
Ma succede principalmente per due motivi, e vediamo quali sono:
Il motivo principale è dovuto ai canali ufficiali delle Pubbliche amministrazioni e di tutti gli enti che si occupano del bene comune, dei cittadini. Questi canali ad oggi molti sono stati digitalizzati, ma spesso farraginosi e contorti, utilizzando un linguaggio troppo selettivo e poco comprensibile alla massa, che è variegata socialmente, culturalmente, e inoltre difficili da raggiungere perché spesso non vengono nemmeno pubblicizzati.
L’altra ragione è la mancanza di strumenti semplificati affinchè chiunque possa accedere facilmente a qualsiasi informazione che lo riguardano e soprattutto semplificato nel linguaggio, spesso questo linguaggio adottato, ad esempio una legge, una delibera, una ordinanza, è un linguaggio che non ti basta solo essere laureato ma lo devi essere nella specifica materia, perché spesso incomprensibile nella scrittura, nei termini tecnici. La narrazione di una informazione deve essere obbligatoria in tutte le informazioni che si danno, ma bisogna fare un ulteriore sforzo di semplificare, adottare un linguaggio sintetico e popolare, in parole povere “Il Digitale Popolare”. È vero, la legge non ammette ignoranza, ma in un mondo sempre più digitale dove il cittadino sente anche il diritto di auto-informarsi essa deve essere accessibile al linguaggio di tutti e non dei pochi, proprio per evitare che ci siano disinformazioni successive, male interpretazioni, perché le fake news nascono dal potere che oggi ha il cittadino, quello di essere liberamente a sua volta un divulgatore, spesso ignaro ed inconsapevole, e tra questi divulgatori ci sono quelli che hanno capacità di influenzare tante altre persone, nel bene e nel male, ed è proprio in questo passaggio che nascono, covano, i malintenzionati, ma anche gli ignari interpreti però di una loro colorata informazione, e quindi la velocità del web(pari alla velocità della luce) fa tutto il resto, perché le informazioni oggi, quelle che corrono sul web sono dotate di tanti accessori, colorate di grafica, di video, di titoli ad effetti, di contenuti pensati con strategia e psicologia pur di avere lettori, ma manca un elemento, il freno, non hanno freni, non le può fermare neanche chi le produce una volta lanciate, e tutto ciò sta confondendo la opinione pubblica nel giudizio. Capita spesso, per esempio in politica, di sentire il partito esprimersi in un determinato modo su azioni amministrative, ma se poi vai a leggere con attenzione lo stesso documento depositato nelle commissioni di camera e senato, ti rendi conto che ci sono delle differenze, perché nel colorare la informazione, voluto o non voluto, si omettono o si aggiungono cose che nel documento, nella informazione di base non troviamo.
E allora forse sarebbe il caso che con l’occasione della “Digital Trasformation” si cominciasse a creare strumenti e lavorare alla semplificazione digitale.
Un esempio, ad oggi abbiamo servizi di messaggistica istantanea che consentono di accedere a canali tematici, quello meglio strutturato è “Telegram”, ciò non significa che sulla scia di quella piattaforma uno stato non possa mettere in rete un servizio di messaggistica simile ma dedicato solo ai canali tematici. Ad esempio, io vedo molto positivo i canali della PA su telegram, perché rendono l’accesso alle informazioni semplice ed immediato.
Perché un cittadino che ha l’informazione nuda e cruda riuscirà anche a riconoscere le fake news, ed è qui che troviamo “il freno” di cui vi parlavo prima, ma non solo, consentire al cittadino e alla PA di esercitare sia il diritto e il dovere, perché è tutto alla portata di mano e di facile comprensione.
Ma anche nel privato ognuno di noi potrebbe già adottare con i mezzi attuali un freno utilizzando gli RSS feed, cioè crearsi il proprio giornale con la scelta dei canali che ritiene attendibile e verificato, ma ad oggi questa è una pratica per pochissimi, non è una semplificazione digitale e di accesso a tutti.
Ma perché i social network hanno ormai miliardi di utenti? Eppure sono degli strumenti digitali, esattamente come lo sono quelli di scambio delle informazioni tra cittadino e PA.
La risposta è semplice, perché sono semplici, semplificati, con un linguaggio comprensivo a tutti, e alla fine altro non fanno che veicolare delle informazioni di ogni genere, private e di pubblico dominio, con una differenza, sono colorate, non verificate, e a loro volta diventano immediatamente “Virali”, producendo una distorsione che abbiamo avuto modo di vedere proprio durante questa pandemia covid19. E nella creazione, nella trasformazione digitale, nella semplificazione, una grossa mano potrebbe darcela il diamante delle tecnologie di tutti i secoli, l’intelligenza artificiale.

Giuseppe Pacenza

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